Che cosa è e che cosa vuole il nazionalismo
I critici compiono spesso inconsciamente questa funzione: di dar vita a quelle opere o a quelle idee che volevano demolire.
Già, per il solo fatto di discuterle, le tolgono all’oscurità dove potevan rimanere a lungo ignorate, e le portano all’aria e alla luce che son le condizioni necessarie perchè anche i semi intellettuali vivano e crescano.
Ma, oltre a questo, i critici hanno anche un altro merito involontario : essi obbligano gli autori a spiegar meglio il loro pensiero, a ristudiarlo, a precisarlo ; e le polemiche — che non hanno mai naturalmente il risultato di far cambiare parere ad alcuno — hanno però sempre questa conseguenza più feconda : di costringere ognuno a cercar nuovi argomenti per difendere la sua idea e renderla quindi più formidabile.
I critici del nazionalismo gli hanno reso questo servizio. Per mezzo loro, noi abbiamo dovuto ritornare sulle nostre idee, commeritarle, abbiamo cioè potuto presentarle sotto una veste più organica.
Furono molti questi critici, ma poiché in gran parte ripeterono tutti e sempre le stesse accuse, scelgo per rispondere quegli che le espose con più logica e con più forza, G. A. Borgese.
Il Borgese, con l’abilità che tutti gli riconoscono, ha fatto anzitutto questa lucida osservazione: non è possibile, — egli ha detto, — che nazionalismo sia soltanto un sinonimo di patriottismo, perchè tutti sono patriotti in Italia: il nazionalismo deve dunque distinguersi per un suo contenuto idi proposte pratiche: altrimenti non varrebbe la pena di avere ribattezzato l’amor di patria a quel barbaro modo.
Ora, prescindendo dal notare (come Vedremo meglio in seguito) che le proposte pratiche ci sono, io voglio fin da principio contraddire l’affermazione pur troppo gratuita che tutti siano patrioti in Italia.
Se qualche cosa manca al nostro Paese è appunto il patriottismo. Alle generazioni che si sacrificarono per l’ideale di una patria grande e compiuta entro i suoi naturali confini, sono succedute generazioni scettiche le quali non hanno di mira che interessi personali e immediati. Pensare a sè e ai propri affari, ecco il vangelo di questa nostra epoca borghese: la maggioranza non guarda più alto e più lontano. E la prova di questa miopìa nazionale ci è offerta dal Parlamento, dove — G. A. Borgese spero me lo consentirà — vibra assai raramente la nota di un dibattito sincero ed audace su problemi vitali della patria, e dove invece tutti si affannano a risolvere le questioni colle panacee degli accomodamenti e delle dilazioni, e dove i Ministeri si mutano non per diversità sostanziali di principi, ma per lavori più o meno sotterranei di alchimia parlamentare.
Il patriottismo esiste in tutti, certamente, ma come una formula rettorica che è comodo adoperare di quando in quando, come una bandiera che al momento opportuno si sventola al sole.
Vedete. I socialisti l’anno scorso hanno proclamato che «bisogna difendere e armare la patria», ma poi hanno votato contro le spese militari. I repubblicani fanno gli irredentisti in piazza, ma poi urlano anche essi contro le spese improduttive.
Sono forse questi i patriotti di G. A. Borgese ?
L’onorevole Titloni pronunciò il memorabile discorso di Carate e promise formalmente che l’alleata Austria avrebbe subito concesso quell’università a Trieste…. la quale viceversa ci è stata anche giorni sono negata per l’ennesima e non ultima volta.
Luigi Luzzatti (prima di essere Presidente del Consiglio) scrisse in un giornale che noi dobbiamo mantenere la pace anche a costo di ogni viltà, e dette agli italiani questo curioso ammonimento: — chiunque ami la patria non deve occuparsi di politica estera.
Sono forse questi i patriotti di G. À. Borgese?
Io non lo so. So che poiché tutti costoro dicono, e forse pensano, di agire per patriottismo, bisognava pure che coloro i quali credono che il patriottismo sia…. un’altra cosa, scegliessero un altro nome per differenziarsi da quei valentuomini. Ecco perchè si sono chiamati nazionalisti. Brutto nome, certo, il nazionalismo, anche per ricordi d’oltralpe, come io stesso ho riconosciuto pubblicamente or è un anno; ma la polpa di aver ribattezzato il patriottismo in così barbaro modo non è tanto nostra quanto di coloro che avendo confuso e abbassato il significato del patriottismo ci hanno costretti a non poter più adoperare quel nome.
Noi, del resto, non abbiamo paura delle parole, e preferiamo la bontà della merce alla bellezza dell’etichetta.
Sgombrato così il terreno da una questione pregiudiziale e formale, possiamo procedere ad esaminare che cosa veramente sia il nazionalismo oltre quel patriottismo che ne è stato l’origine sentimentale.
G.A. Borgese ha intimato ai nazionalisti: fuori il vostro programma!
Un programma preciso e definitivo ancora non c’è, perché i nazionalisti non sono, per loro fortuna, dei candidati alle elezioni politiche, i quali abbiano pronte delle promesse da elencare furbescamente dinanzi al pubblico. Sono degli uomini di fede, che vanno liberamente esponendo quello che sentono e quello che pensano per rinvigorire la nostra fiacca vita politica. E i loro sentimenti e le loro idee se non si sono ancora scolpite negli articoli di un programma e organizzate ufficialmente in un partito, hanno però avuto una così larga ,eco nell’Opinione pubblica, che lo stesso Borgese, — il quale certamente non si occupa di cose che non lo meritano, — vi ha dedicato più volte la sua attenzione e ultimamente un articolo di tre colonne.
Ci combattono, dunque esistiamo.
Ma esistiamo — dice G. A. Borgese — per la disgrazia d’Italia, anzi, per la disgrazia di tutto il mondo, perchè «siamo un ostacolo collocato sulla via della civiltà».
Il rimprovero è tragico; e noi tenteremo modestamente di difenderci da questa accusa gravissima.
Giulio De Frenzi, riprendendo e sviluppando un’idea da me svolta or son quasi dieci anni [1], constatava che agli italiani manca una coscienza nazionale collettiva, e che la formazione di questa coscienza doveva essere il primo scopo del nazionalismo. «La dottrina nazionalista — cito le sue parole — è riassunta nella necessità di dar finalmente, anche in Italia, a ciascun individuo la nozione costante, esatta, imperiosa del suo dovere verso la Nazione, di persuaderlo cioè ch’egli non cessa mai di esser parte integrante, se pur minima, di questo grande organismo collettivo e che, rispetto alla vita di questo organismo del quale è parte, egli non può mai, in nessun momento, dimenticare o disconoscere la sua individuale responsabilità».
Creare, insomma, un’anima collettiva nazionale, mentre oggi non abbiamo che anime collettive regionali, ceco l’ideale del nazionalismo.
Una delle cause, la più importante forse, per cui la Germania, è tanto superiore all’Italia, sta appunto nel fatto che i tedeschi possiedono quest’anima nazionale, quest’orgoglio di razza, che non è affatto sinonimo di orgoglio individuale, ma coincide anzi con la modestia dell’individuo, perchè insegna a questo il sacrificio personale per il Vantaggio sociale, gli dà cioè quel senso di disciplina che a noi manca e che, per gli eserciti come per i popoli, è la condizione suprema della vittoria.
Se, per esempio, tutti gli italiani sentissero verso la nazione queiraffetto quella responsabilità quell’orgoglio che i milanesi sentono per la loro città, l’Italia sarebbe prospera e forte come è prospera e forte Milano. L’orgoglio campanilistico dei milanesi può essere forse talvolta antipatico, come è antipatico l’orgoglio teutonico, ma senza dubbio è un sentimento ammirevole ed utilissimo: esso è la fiamma che riscalda tutti i cittadini, è la forza morale che produce quell’attività meravigliosa cui Milano deve di essere, per tanti rispetti, la più ricca la più ardita la più civile città dell’Italia.
Trasformare e sublimare, se posso dir cosi, questo sentimento regionale in un sentimento nazionale, fare in modo che tutti gli italiani siano psicologicamente dei milanesi, non soltanto verso la loro città o la loro regione, ma soprattutto verso la patria, — ecco la base del programma nazionalista.
E da questo programma scaturiscono logicamente, come ognun vede, moltissimi corollarii di politica interna e di politica estera.
I nazionalisti sono stati accusati di indifferenza di fronte ai problemi della politica interna e ad alcuno è piaciuto gabellarli come dei vani parolai irredentisti. Ora, senza notare che alcuni mesi sono Gualtiero Castellini pubblicava nella Grande Italia degli articoli intitolati Il secondo irredentismo nei quali additava appunto il dovere di occuparsi della questione del Mezzogiorno, il dovere cioè di redimere quelle terre dalla miseria e dall’ignoranza, tutti sanno che Enrico Corradini nella sua ormai lunga propaganda, nei libri, nelle conferenze, negli articoli, non ha mai dimenticato le questioni economiche e i problemi della coltura. Soltanto (ed ecco la differenza tra gli uomini politici che s’occupano di questi problemi e i nazionalisti), soltanto mentre per I partiti costituiti, la costruzione della vita nazionale è scopo a sè stessa, il Corradini pone il fine della nazione fuori della nazione. Egli vuole cioè — se io bene intendo il suo pensiero che è anche il mio — fare prospera la patria non perchè essa si racchiuda in sè stessa come la Svizzera, ma perchè possa vittoriosamente lottare nella concorrenza mondiale. Noi vorremmo cioè — forse è un sogno, ma un bel sogno ! — che l’Italia fosse la prima nazione del mondo, come i milanesi vogliono che Milano sia la prima città d’Italia.
È imperialismo questo? E sia. Non abbiamo, giova ripeterlo, paura dei nomi. Abbiamo il diritto però che gli avversari non fraintendano questi nomi e non fraintendano sopra tutto la tattica con la quale vogliamo raggiungere i nostri ideali.
G.A. Borgese aveva creduto di poter attribuire ai nazionalisti come un articolo del loro programma «l’avversione contro la triplice e il rinfocolamento di ardori bellicosi contro l’Austria».
Il De Frenzi negò che il nazionalismo sia bellicoso ed austrofobo. Mi permetto di aggiungere che si può perfettamente credere, come io credo, che raggruppamento naturale delle grandi potenze europee sia Italia, Francia ed Inghilterra da una parte, ed Austria e Germania dall’altra, e nello stesso tempo avere tanta coscienza delle necessità politiche del momento da riconoscere il dovere di essere triplicisti. Soltanto, anche qui c’è una differenza tra i nazionalisti e…. i patriotti. C’è chi crede che alleanza significhi servilismo: i nazionalisti invece credono che si possa essere alleati senza viltà, e che la nostra impreparazione militare non implichi la rinuncia al proprio decoro. Tutti coloro — e sono pur troppo ancora moltissimi — i quali non vedono che due vie, o la rassegnazione vigliacca o la guerra, e consigliano la prima per paura della seconda, e vanno dicendo che chi ha forte il senso della propria dignità è un provocatore e quindi un nemico della patria di cui prepara la certa rovina, — commettono o un atto di ingenuità o un atto di malafede.
Dignità significa difesa: non significa provocazione.
E come nella vita quotidiana non vi sono soltanto i due tipi estremi — egualmente antipatici e riprovevoli — dello spavaldo che va in traccia di attriti, e del vigliacco che tutto sopporta per non correr pericolo, ma v’è il tipo medio dellìuomo dignitoso che ha tanta serietà da non provocare scioccamente nessuno, ma anche tanta energia da non sopportare gli insulti, — così nella vita politica io mi auguro vi sia un partito di uomini che senza essere medioevalmente cercatori di guerra, ma senza essere nemmeno rassegnati raccoglitori di ogni ingiuria e silenziosi registratori d’ogni ingiustizia, abbiano tanta coscienza di sè e tanto rispetto della propria nazione da saper alzare la fronte contro chiunque la offenda, e da saper guardare in faccia l’avvenire con animo fiero.
Lasciamo ai conventi l’ideale mistico di rassegnazione e di raccoglimento. Le virtù negative hanno forse condotto qualche individuo alla santità: non hanno condotto alcun popolo alla grandezza. Nel mondo dove la natura ha stabilito una fatale legge di concorrenza bisogna lottare per vivere.
E vivere — per un organismo individuale come per un organismo sociale — significa espandersi: significa evolvere tutte le proprie facoltà verso l’ideale in cui più crede: significa prepararsi con tenacia oscura ma costante a tutte le eventualità che ci attendono e ci minacciano.
Ora, per noi italiani, la prima preparazione consiste nel mantener vivo e forte il sentimento di dignità nazionale contro coloro che voglion deprimerlo, perchè soltanto da questo sentimento potrà derivare quella forza materiale, economica e militare, che ci metterà in grado di raggiungere lo scopo ,a cui miriamo.
***
Dignità e decoro, noi chiediamo: nulla più: e li chiediamo non solo nelle gravi questioni politiche, ma anche in quelle piccole questioni che G. A. Borgese chiama con disprezzo «futilità esteriori» come la dicitura di un’insegna e il nome di un Villaggio.
Può sembrare cosa di lieve importanza il difendere ai confini la lingua italiana, e qualche scettico sorride di quegli ingenui i quali protestano perchè nelle carte geografiche del Touring italiano certi nomi di villaggi italiani dell’istria sono scritti in lingua. slava, mentre (terribile lezione che ci viene dagli stranieri!) nelle carte del Club Alpino austriaco gli stessi nomi sono scritti, come è dovere, in lingua italiana [2].
Noi confessiamo di parteggiar per gli ingenui piuttosto che per gli scettici, e di non credere che codeste sieno soltanto futilità esteriori. Sono sintomi, sintomi dolorosi di quella mancanza di fierezza nazionale che deploriamo.
Come la signorilità di un gentiluomo si rivela anche nell’atto più semplice, così la dignità di un popolo si mostra anche in quelle che il Borgese chiama futilità. E il trascurare queste futilità 0 l’irriderle, significa non comprendere quello stato d’animo di depressione, d’indifferenza e di sans-gène nazionale, di cui esse sono le inconscie rivelatrici.
Le poche cose che ho dette parmi dovrebbero persuadere gli uomini di buona fede che noi non siamo, come pretende il Borgese, «un ostacolo collocato sulla via della civiltà». Saremo forse degli entusiasti che misurano dal proprio ardore quello degli altri. E ci inganneremo, forse, come tutti gli entusiasti….
Pure, in fondo al mio pensiero è una speranza.
G.A. Borgese non è così lontano da noi come la sua parola mordace può far supporre. Gli spiriti critici provano talvolta la voluttà intellettuale di combattere col cervello ciò che è il palpito inconfessato del loro cuore.
Io leggo alla Fine del suo articolo queste parole: «Oggi come oggi, mi pare che uno solo sia l’imperativo: che ciascheduno faccia direttamente ed umilmente il suo dovere. Solo così si può contribuire ad elevare il proprio paese dandogli quel che davvero gli manca: il senso di disciplina e di responsabilità, Fate che una generazione di uomini forti e probi conquisti i pubblici poteri: saremo, se questa sarà la nostra missione, padroni del mondo».
Non si potrebbe dir meglio: ma è appunto quello che noi pensiamo e scriviamo da tempo.
luglio 1910.
FINE
[1] Vedi il primo capitolo del mio libro: l’intelligenza della folla, 2.a edizione, Bocca, 1910.
[2] Fra i molti esempi che si potrebbero citare, il più tipico è dato dai nomi di Pinguente, Pisino, e Montona che la carta del Touring Club austriaco scrive in italiano, e soltanto in italiano, mentre la carta del Touring italiano lì scrive…. in slavo ! ! !